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domenica 22 aprile 2012

Lo stupore che fa volare






Sulla prima del tour teatrale
di Marco Mengoni
agli Arcimboldi del 19 aprile scorso,
uno spettacolo che sembra
spingerci a salire e scendere
una scala a chiocciola
lungo le umane emozioni


 

 

 

 

 

 

Certo, bisognerebbe iniziare dalla cornice. Il teatro, la gente, l'occasione... Ma tra i miei ricordi più vividi non c'è nulla di tutto questo. C'è solo un palco acceso da fasci di luce morbidi e colorati, con al centro la proiezione olografica di tutte le mille e più emozioni che un essere umano possa provare. Ed è troppo per poterne discutere “a caldo”. 

Bisogna far sedimentare tutto lo stupore che si scatena alla prima nota e che, invece di trovar pace e una sua armonia, continua a esplodere, continua a ri-crearsi, ri-generandosi ad ogni respiro. Non c'è tregua per chi è disposto a lasciarsi andare. Non c'è pace per chi si abbandona sulla poltroncina – strettissima nell'occasione – aprendo ogni singola cellula a quanto arriverà dal palco...

Ecco, i tasti del pianoforte dell'inizio di Tonight si trasformano in una ripidissima scala a chiocciola. Una vertigine di note secche e silenzio. Il primo giro di accordi apre la porta di un mondo in cui ci sembra di non essere mai stati, un mondo personale fatto quasi tutto di specchi e di ombre, ancora tutte da decifrare, come quella che si cela dietro un leggero drappeggio. Il suono di una tromba elegantissima lo strappa, il palco si illumina di energia. È materia allo stato primordiale: basta lasciarsi raggiungere senza far resistenza, e la materia riempie ogni vuoto d'anima. Si plasma all'interno delle nostre emozioni e le trasforma, con il calore che solo le belle fiabe sanno dare. 

Si sogna. Si sogna per quasi tre ore, complice una mimica attoriale che rimanda al più grande italiano di tutti i tempi. Domenico Modugno, sì, parliamo di lui. Lui che ha saputo portare sul palco, con medesima eleganza e concretezza sia la musica più struggente che quella più ironica, imprimendo una velocità tutta nuova all'Italian Style, proiettandolo molto al di là delle Alpi in un vorticoso giro del mondo che ancora non si arresta.

Inattesa, una capacità interpretativa anni 50, dalla gestualità fisica fino all'uso della voce, cambia lo scenario e ci culla con dolcezza e con sicurezza. Non abbiamo paura di niente, neanche di noi stessi mentre da lassù qualcuno riscopre, riaccende, restituisce una ragion d'essere a un classico come I Can't Help Fallin' In Love with You. Fino a ieri intoccabile perché troppo abusata, oggi piccolo immenso gioiello di classe vocale e di impatto emotivo; così come convince l'ardita Innuendo, solo un cenno per rispetto al suo autore, che piace e scuote e scompiglia. Più di quanto lo facciano le nacchere suonate a finir la collezione delle percussioni. Su quel palco ne abbiamo viste alcune davvero inusuali – come il triangolo, ad esempio – a raccontare la ricchezza musicale dello spettacolo, un live ad altissima densità. 

E lo stupore, anche se sono passati giorni, non si è placato del tutto. Ad ogni ricordo si aprono varchi di sorprese, di ritmi serrati o di lunghe note di sax, o di corde tirate di un contrabasso elettrico suonato con piacevolissima maestria.

The Switch, dei Planet Funk, e Fool On The Hill dei Beatles; Natbush City Limits dei Turner e una nuova versione dell'Equilibrista, limpidissima. È uno strano gioco ad incastri, dove pezzi spigolosi si incastrano perfettamente con le rotondità di altri, perché come l'energia trasforma la materia, questa materia sonora trasforma a suo piacimento l'energia che si respira, liberandoci dalla fatica dell'agire per lasciarci sognare tutto quello che vogliamo, con inebriante leggerezza.

Non siamo abituati a tanto. Abbiamo bisogno di tirare un respiro profondo. Non bastano i 15 minuti di pausa al centro dello spettacolo, perché i primi 10 vanno via solo per riprendere contatto fisico con l'ambiente, e gli altri 5 – troppo pochi... non bastano giorni – a cercare di capire cosa sia successo. 

Le luci si spengono di nuovo. Si ricomincia a volare. Poi, ecco una stella su cui aggrapparsi con forza: è Rehab, omaggio ad Amy Winehouse, confezionato come il regalo più bello. La voce di Marco Mengoni si lancia senza rete in mille evoluzioni che neppure il più esperto trapezista affronterebbe a cuor leggero. Lui sì, senza altra musica se non quella prodotta dal battito di mano a tempo dei suoi musicisti (e il fondamentale apporto della grancassa della batteria). È un passo a due con un partner invisibile. Struggente, malinconico. Magnifico.

Così come lo è la versione aggiornata di Dall'Inferno, proprio lì, giù, in fondo a quella scala a chiocciola strettissima che saliamo e scendiamo per tutto il concerto. Sì, alla fine abbiamo il fiato corto. No, non c'è una sola briciola di stanchezza. L'energia che ci ha attraversato ci ha rigenerato. Ci ha portato dietro le nostre ombre più scure e le ha trasformate in luce. Ora siamo pronti a volare, proprio come cantava Modugno. 


Sul palco:
Marco Mengoni > voce, nacchere, tamburo, gong
Cristiano Norbedo > tastiere e tamburi
Federico Mansutti > tromba
Federico Missio > sassofoni e triangolo
Stefano Calabrese e Peter Cornacchia > chitarre
Giovanni Pallotti > basso e contrabasso elettrico
Davide Sollazzi > batteria


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