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domenica 31 maggio 2015

di Margherita Laurenti
 
Per fortuna ci sono loro, gli artisti. Quelli veri. Quelli che dentro di sé hanno mondi così vasti e così intensi da non aver posto per il chiacchiericcio inutile degli sputasentenze. Quelli che dicono “mi piace” e “non mi piace” perché così è, e non per la ricerca di un consenso che li porterebbe ad andare dietro al pubblico, mentre loro -gli artisti-  sono sempre, per forza di cose, avanti.


Un artista, famoso o meno, sa che una condizione gli sarà sempre estranea, quella dell'immobilità. La sua anima ha gli stesso colori del mondo, ne avverte gli odori, i suoni, ed il cambiamento (rapido o lento che sia) è una costante che le appartiene quanto la vita stessa.

Invece molti tra il pubblico di questi stessi artisti (a volte proprio tra i più antichi ed accaniti) li vorrebbe sempre uguali a se stessi, fermi in un santino che ripete sempre lo stesso modulo anno dopo anno, decennio dopo decennio.
 

Ma ci sono artisti che neanche la morte può fermare, la cui forza creativa resta dirompente ed innovativa anche attraverso i giovani che hanno avuto accanto e che in molti casi hanno aiutato a crescere.
Lucio Dalla e Fabrizio De André. Due pietre miliari, ci viene da dire, ma due “rolling stones”, pietre che non riescono a star ferme nemmeno sotto la lapide della beatificazione mediatica, e che continuano a mandare il loro messaggio di poetica irriverenza anche attraverso quei social networks che non hanno frequentato nella loro vita terrena.


Non si può parlare di Samuele Bersani senza citare Lucio Dalla. L'autore di Giudizi Universali lo  ricorda con un affetto palpabile ad ogni suo concerto, in ogni intervista. Poter crescere artisticamente con un genio simile accanto è un privilegio che Bersani conferma in ogni suo brano.
E Lucio Dalla ha potuto tendere una mano anche a Marco Mengoni, giovanissimo cantautore degli anni Duemila, proveniente dal mondo dei talent show che la critica (ed il pubblico) più snob non voleva neanche sentir nominare.

Marco rese splendidamente Meri Luis e il suo autore ebbe per lui parole di grandissima stima artistica ed umana.

Ma dato che il nostro Paese vive sulla chiacchiera, possibilmente inutile, Mengoni ha “dovuto” conquistare agli occhi di quel pubblico che si considera di élite un “permesso di soggiorno” artistico  che, oltre alle classifiche (e da questo punto di vista non vola più una mosca da tempo), gli permettesse di frequentare i nomi più scelti del nostro panorama musicale.
Poco importa se fin dai suoi esordi artisti del calibro di Mina, Renato Zero, Celentano e altri lo avessero incoraggiato e sostenuto: per un certo tipo di pubblico Mengoni era solo da ignorare. Perfino dopo lo “sdoganamento” di molti giornalisti inizialmente assai diffidenti, la roccaforte degli alfieri del cantautorato d'antan o della musica per pochi eletti non ha mostrato aperture. Come se Cesare Cremonini, Ivano Fossati e, appunto, Lucio Dalla fossero gente di tutt'altro mestiere.


Il 30 maggio Samuele Bersani ha tenuto un concerto al Parco della Musica di Roma in cui ha ripercorso tutta la sua carriera di autore e musicista. E molti dei puristi di specchiata inutilità si sono sentiti sorpresi e traditi quando tra nomi DOC come Carmen Consoli, Caparezza, i Musica Nuda e Pacifico è spuntato quello di Marco Mengoni. 


Ma come? Il cantautore di miglior pedigree, prediletto di Dalla e Guccini, autore di testi che richiedono a volte l'uso del vocabolario, ha voluto accanto a sé il cinguettante re delle classifiche, adorato da schiere di donne senza cervello? Il “palazzettaro” di turno? 

Mentre nella loro bocca spalancata volavano le mosche, Marco e Samuele hanno ricamato Il Pescatore di Asterischi, brano amoroso e poetico, dolce ed ironico, dalla melodia avvitata e dal tempo insidioso, portando ciascuno fili colorati secondo il proprio stile e rendendolo emozionante in modo nuovo. Il padrone di casa ha condiviso con l'ospite uno dei suoi gioielli più amati, con la sua sorridente riservatezza e la certezza di aver realizzato un desiderio di Lucio, quel “commendator Domenico Sputo” che delle paturnie degli altri si faceva beffa ogni momento.


Ma i puristi hanno passato un brutto fine settimana anche per un altro fatto. Cristiano De Andrè ha partecipato ad Amici duettando con Emma Marrone su Bocca di Rosa.
Apriti cielo e spalancati terra! Da parte dei pretesi custodi delle sacre memorie è arrivata una valanga di insulti e maledizioni al cantautore, di cui perfino la paternità è stata messa in discussione.
Con molta eleganza Cristiano ha risposto che nessuno si può arrogare il diritto di aver conosciuto suo padre più e meglio di lui, e che le barriere di qualsiasi natura erano il contrario di quanto Fabrizio avesse detto e cantato in tutta la sua vita.

Ma di cosa ha paura chi teme il “mezzosangue” Mengoni che duetta con Samuele Bersani? Cosa c'è di sconvolgente in un Cristiano De Andrè che canta un classico di suo padre in un talent show?
 


È molto semplice: si rompe un modo di pensare la musica fatto a camere stagne, in cui il meglio è riservato a pochi mentre la “massa” si crogiola nella poltiglia commerciale...  No, non è affatto così: si creano cortocircuiti, si inventano nuovi linguaggi. Si contamina.
Si fa arte, vita.




read more "Certi sconvolgenti cortocircuiti..."

domenica 17 maggio 2015

di M La Marghe Laurenti

Marco Mengoni on stage. Foto tratta dal profilo instagram ufficiale @mengonimarcoofficial

Dire che Marco Mengoni è bravo è come dire che il sole splende. Anche il più accanito dei suoi detrattori della prima ora non ha mai potuto negarlo. Sappiamo, anzi, che un “eccesso di bravura” è stato il motivo di rifiuto da parte di alcuni discografici troppo impegnati alla ricerca di giovani che rispecchiassero lo “stile del momento”.
Anche dire “quanto” è bravo sta diventando inutile. Nei concerti del suo Live 2015 è riuscito a coinvolgere – e sconvolgere – pubblico e critica che ora procedono felicemente a braccetto come era giusto che accadesse.


Dire “come” è bravo invece lascia ancora qualche margine.
Con Mengoni la parola talento ha ritrovato la sua dignità. Indica dote, qualità, ma anche rarità. Indica qualcosa di eccezionale rispetto alla media, una caratteristica innata, ma che può essere sviluppata e raffinata quasi all'infinito. Un purosangue che corre velocissimo non ha talento, segue la sua natura. Il talento è quello del fantino che sa come e quando amministrare le doti dell'animale.
Il nostro musicista nel 2013 ha scelto il titolo Pronto a Correre per il suo secondo disco (i precendenti Marco e Re Matto –2009 e 2010- sono solo EP, mentre il primo album Solo 2.0 è del  2011, nda), ovvero quando si è sentito capace di esprimersi dosando sapientemente tutte le sue qualità artistiche.

Nel live 2015 che segue l'uscita del primo capitolo del progetto Parole in Circolo, Marco offre al pubblico una grande serata sotto tutti i punti di vista: musicale, emozionale, visivo e di partecipazione. Affiancato da musicisti non solo eccellenti tecnicamente, ma in perfetta sintonia con la sua eclettica personalità, l'artista può volare a piacimento attraverso i diversi momenti che formano il concerto e  sviluppare la tavolozza che ha deciso di usare.


Il palco è ampio quanto un tour nei palazzetti richiede («quanto la casa dei miei sogni», ha candidamente ammesso il cantautore).  All'occhio si presenta occupato solo dalla strumentazione che verrà utilizzata, fra cui spicca un pianoforte classico a mezzacoda circondato da una fitta prole di tastiere di vario genere.
È stato lo stesso Mengoni a disegnarlo – e a modificarlo poche settimane prima del debutto – calibrando attentamente ogni spazio a seconda dei passi che avrebbe eseguito sui vari brani: gradini, scivoli, passerella, botola, piattaforme rivelano la loro presenza solo quando l'artista vi si muove con la sicurezza di chi ne conosce ogni centimetro. Ma dato che la bidimensionalità non gli appartiene, sulla parete frontale si erge un enorme vidiwall all'interno del quale trovano spazio tre megaschermi che alterneranno momenti del live a racconti di grafica, filmati e cartoons sempre a firma del poliedrico musicista.
Completa l'allestimento un impressionante assortimento di luci che in un istante trasformano la scena da un coloratissimo sogno stile Magical Mistery Tour beatlesiano ad uno struggente bianco e nero in cui rivivono atmosfere cinéphile, passando per una discoteca newyorchese anni '80 per poi lasciare spazio ad un semplice occhio di bue in perfetto stile teatrale.


Ma a Mengoni persino le tre dimensioni non bastano. Se ne può aggiungere una quarta, una quinta... si può volare per essere al centro di un'esplosione di parole importanti, si può coinvolgere il pubblico attraverso i cellulari e creare coreografie luminose mai viste prima in Europa... Questo è il “campo di gioco” in cui Marco ha deciso di scendere, questa è la cena speciale che sa imbandire in due ore e in cui tutto è sapientemente dosato.


Foto di Germano Pozzati
La scaletta si apre alla grande con Guerriero, e chi era venuto per ascoltare la sua hit del periodo è subito accontentato. Seguono Non Me Ne Accorgo e Se Sei Come Sei portando subito il tachimetro a forte velocità, sfrecciando con Pronto a Correre su un rettilineo pieno di sole, con le palme a destra e l'oceano a sinistra. Su Invincibile e Mai e Per Sempre c'è una sosta romantica per ammirare il panorama, prima di ripartire a velocità di crociera con la new version di Dove si Vola, pop morbido e scorrevole in cui il Marco di oggi passeggia tranquillo e sorridente.

Un attimo di buio e ci troviamo in un altro tempo e in tutto un altro spazio emotivo. Mengoni canta un brano in spagnolo con un accompagnamento di chitarra acustica e fiati che ci proietta in Messico. È la sconvolgente Llorona di Chavela Vargas, in versione breve ma “picante y sabrosa” da far ammutolire un palazzetto stracolmo.
Qui non c'è trucco e non c'è inganno. Il silenzio del pubblico è un foglio bianco su cui la mano del maestro, con tratti sottili e veloci come coltellate, crea un disegno che si attacca al cuore in modo indelebile per non togliersi mai più.



Improvvisamente, il bianco e nero si colora del rosso degli schermi. Torniamo alla nostra epoca con una versione di Solo scandita dal martellare della batteria, come camminata di un condannato a morte.
Marco, poi, ci tira fuori da questo turbine emotivo con una Valle dei Re liberatoria e illuminata di verde acido. Siamo di nuovo a pieni giri e si fila via su Ed è Per Questo e Bellissimo, in cui regna di nuovo la fantasia multicolore.

Dalla curva spunta un nuovo panorama ed è giusto fermarsi per assaporare il medley tra 20 Sigarette e Natale Senza Regali, lì dove la band sfoggia un suono curatissimo e pieno di accenni a quel maestro di glamour musicale che è stato Burt Bacharach.
I motori rombano di nuovo, l'oceano risplende e si va a tutta birra con Come Un Attimo Fa.

Una rampa, una curva improvvisa e con I got the fear siamo al funky jazz più esplosivo, col basso e la batteria che pulsano nelle vene come non mai. Chitarre elastiche e fiati danzanti. Tastiere sornione e stop improvvisi in cui lo strumento-voce dardeggia come una fiamma nel buio.


Non si può correre sempre, e anche il Nostro rallenta, recuperando la dimensione della tenerezza su Non passerai, sempre amatissima dal pubblico e illuminata da migliaia di accendini digitali.

Siamo a tre quarti del concerto e se c'è qualcosa di importante da dire è meglio farlo adesso, prima di entrare nel rettilineo finale.
Mentre un testo registrato dall'artista introduce Esseri Umani, il brano più socialmente impegnato della sua produzione, Mengoni appare tranquillamente seduto in poltrona a svariati metri di altezza, al centro di un surreale salotto che presto svanisce per lasciarlo circondato dalle parole che ha scelto. Parole importanti, primordiali, che diventano sempre più grandi fino ad esplodere in una grandine di note.
Il pubblico è compatto nel suo canto e sembrano tornati i tempi in cui le canzoni erano cose dense che  invece di far “passare il tempo” lo inondavano di significato.



Dopo serve la dolcezza di La Neve Prima che Cada per riprendere fiato.

Le sorprese in questo live non danno tregua. Grazie ad un ricordo d'infanzia, di Marco che viaggiava in macchina coi suoi genitori, sul vidiwall si forma l'immagine di un videogioco ormai vintage come Tetris o Super Mario. Mentre il pubblico viene coinvolto attraverso il cellulare a partecipare a questa simpatica epifania, la band ne esegue la musichetta dal vivo. Chicca deliziosa per chi non smette di ascoltare, e divertissement per i brillanti musicisti.

Il sole sta tramontando in questo viaggio molto americano su una fuoriserie tutta italiana. Possiamo fermarci? Certamente no. La notte serve per divertirsi.


Tastiere a go-go, sfondi geometrici che cambiano a ritmo, un frontman biancovestito, un po' David Bowie e un po' David  Byrne quando negli anni '80 tornarono in Europa a dirci che la dance music poteva essere anche molto cool, fashion, insomma: roba da grandi.
Mengoni lo fa con un altro suo hit degli esordi, Stanco, ironico e divertente mentre tra una mossa e l'altra sbuca un assolo di sax.
Sembra che la festa continui con Una Parola e tutti sono pronti a ballare quando il brano viene stravolto da una ritmica sincopatissima e sofisticata in cui fiati e la sezione ritmica creano continui momenti di sospensione e Marco canta il testo in un tempo che è la metà dell'originale.



Ma si deve ballare o ascoltare? Si può fare l'uno e l'altro. A quanto pare siamo in un nuovo territorio che Mengoni ha appena iniziato ad esplorare, una cosa tutta sua che potrebbe chiamarsi “disco jazz”.

A questo punto possiamo fermarci, sembra dire Marco.
Scendere dalla macchina e guardarci negli occhi.
Il musicista guadagna l'estremità della passerella ed è proprio in mezzo al pubblico. Luce semplice. Non serve altro per cantare insieme L'Essenziale.

Un primo bis sempre occhi negli occhi con In Un Giorno Qualunque e poi a briglia sciolta con Io Ti Aspetto, quando grandi e morbidi palloni vengono lanciati sul pubblico. Un saluto festoso , un “arrivederci” gridato con gioia mentre la seconda parte del progetto è già “in forno” e manda un profumo allettante.

Il successo di Marco Mengoni ha un sapore diverso da quello di molti altri artisti italiani degli ultimi decenni. Ha radici in quel “mangianastri di ultima generazione” che cita nel monologo che precede la parte del videogioco. Marco è cresciuto cantando, e quello che si canta in macchina da piccoli, per far passare il tempo e contrastare la nausea, non passerà mai più. Quindi – come ha raccontato in molte occasioni – Mina, i Beatles, Battisti, De Gregori, De André, Gabriella Ferri e molti altri – le canzoni “vere”, che andavano cantate dall'inizio alla fine senza sbagliare una parola e con tutti gli effetti musicali, dal “bom bom bom” di Yesterday al “nainanananana” de I Giardini di Marzo. La melodia con tutte le sue mille interpretazioni, ma anche l'armonia dei cori e delle variazioni.


Frequentando gli stage di jazz da adolescente ha scoperto un mondo nuovo, affascinante, che apriva nuove prospettive. La voce come strumento vero e proprio che non solo poteva veicolare una melodia o fare dei virtuosismi, ma anche creare tessiture, richiamare atmosfere di altri tempi, fondersi col suono di altri strumenti.


C'è voluto del tempo perché la volontà di esplorare tanti e diversi modi di fare musica portasse Marco a cucirsi addosso un concerto su misura.
Coadiuvato da Gianluca Ballarin, col quale Mengoni sembra aver trovato un equilibrio molto produttivo, dal suo gruppo storico (Giovanni Pallotti al basso, Davide Sollazzi alla batteria e Peter Cornacchia alle chitarre) e dagli altri brillanti musicisti, l'artista sta osando portare il pubblico ad apprezzare tipi di musica che sicuramente nei palazzetti non erano mai stati ascoltati, tenendo sempre saldamente nelle sue mani le redini della sua straordinaria bravura.


Stay tuned! 


read more "Il viaggio nella musica del MengoniLive2015"

domenica 10 maggio 2015


«Siete le mie stelle!», dice Marco Mengoni subito dopo aver cantanto Dove Si Vola. La sua voce riesce a far comprendere a tutti quanto sia stato orgoglioso del suo pubblico, quanto ne sia felice. Perché ha ragione, e non esagera: per il tempo di una canzone il Forum di Assago si è trasformato in un cielo stellato, e lì a brillare tutto attorno al “Sole” delle due serate c'erano i dodicimila accorsi da ogni parte d'Italia (e non solo) per applaudirlo all'inizio del suo tour targato 2015. 


Ma non siamo qui per parlare del concerto, ché per farlo ci serve altro tempo: c'è così tanto e così tanto bello che le nostre parole – per fare la citazione – stanno ancora circolando, e sono così piene di meraviglia che ancora non riescono a trovare una forma adatta alla comunicazione scritta (mica possiamo scrivere “WOW” senza spiegarne tutta la densissima consistenza!). 

Adesso, oggi, siamo qui per parlare dell'effetto app, di chi, cosa, come, quando e soprattutto perché proprio noi fan abbiamo la possibilità di fare una piccola cosa per il nostro Marco

Innanzi tutto, ci piace sottolineare il fatto che Marco ha scelto di delegare al pubblico una parte importante della scenografia del suo spettacolo. Uno spettacolo in cui la tecnologia – e le luci sporattutto – giocano una parte fondamentale. Ecco, l'idea che l'artista sia così sicuro dell'affetto dei suoi fan ci piace moltissimo. Perché è vero, perché sono anni che glielo dimostriamo e adesso per la prima volta lui ci affida un compito, un ruolo serio e importante all'interno della sua carriera, per di più proprio quando lui è al massimo della visibilità: sul palcoscenico del tour più atteso dell'anno. Insomma, è un regalo che renderebbe orgoglioso chiunque, figuriamoci i fan, i rappresentanti di quell'Esercito che lo sostiene da sempre e che lui non manca mai di tenere presente in ogni suo gesto, in ogni sua scelta. 

Noi fan sappiamo ormai benissimo cosa fare. Abbiamo scaricato la app Marco Mengoni (che è gratis, cosa rarissima nel panorama musicale), e sappiamo che quando dal palco si sente il suono di un battito (il classico tu-tump tu-tump) e sul megaschermo appare il simbolo della mano che tiene il cellulare, proprio in quel momento dobbiamo prendere il nostro telefonino o iPad che sia, aprire la app (che si apre proprio nella sezione LIVE), cliccare al centro della banda grigia, lì dove c'è lo stesso simbolo della mano che tiene un cellulare, e poi semplicemente alzare lo smartphone. Nient'altro. Solo questo. 


Come potete vedere nel video di Letizia Gi, l'effetto è strepitoso! Grazie a una tecnologia nuovisima, che in Europa non è mai stata usata (è una novità persino per gli States), ogni singola app presente nel palazzetto viene utilizzata dal computer centrale del MengoniLive2015 per emttere luci che si accendono e si spengono al ritmo della musica, trasformando così il buio del palazzetto in un luminosissimo tappeto di stelle. Incredibile! Credeteci sulla parola: si rimane senza fiato!

Noi fan tutto questo lo sappiamo e lo facciamo, per la grande gioia del nostro artista. Però Marco quest'anno ha messo a segno una tripletta davvero entusiasmante prima con Guerriero, poi con il cd Parole In Circolo e poi con il secondo estratto Esseri Umani, conquistando nel giro di un paio di mesi un pubblico molto ma molto più vasto di quello rappresentato dal suo Esercito. Ecco, questo pubblico che è accorso ad Assago riempendo il Forum fin sugli spalti sotto il tetto e che ha velocizzato i sold-out di tutte le altre date del tour, questo pubblico che ha scoperto da pochi mesi l'incanto dell'universo musicale mengoniano, prorpio questo pubblico dell'app – ovviamente – ancora non sa nulla. E in tantissimi (ne siamo testimoni diretti) avrebbero voluto partecipare, avrebbero voluto essere parte di quel cielo stellato ma, come si sa, all'interno dei palazzetti la connessione internet viene schermata, per cui più o meno dopo le 20:30 non è più possibile scaricare la app se si è all'interno della location. 


Noi che sappiamo, noi che ci siamo e che niente ci è più prezioso di un sorriso di Marco, noi che stiamo in fila per il parterre o che gironzoliamo dalle parti dei varchi per le tribune, noi sì che possiamo raccontare della app, dell'effetto scenografico, della sua semplicità e soprattutto della sua utilità. Tra un sorriso e una battuta, possiamo accendere davanti agli occhi di Marco, sgranati per la meraviglia, il cielo più stellato che lui abbia mai visto! 

Noi lo abbiamo fatto e, superato un primo momento di imbarazzo, tutti coloro che abbiamo avvicinato hanno scaricato l'applicazione, ascoltato le nostre istruzioni e assicurato la partecipazione. D'altronde, quando si accende un intero palazzetto come si può non aver voglia di partecipare? 

Noi siamo l'Esercito. We Are One. L'Esercito + Marco =
È questo quello che ci rende speciali
Adesso tocca a noi rendere un po' più speciale Marco a chi lo ha appena conosciuto. 

Stay APPlauding!

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