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lunedì 16 aprile 2012

DATA ZERO : Il Paradiso nella voce ,l'Inferno nello sguardo


Quando ho saputo che la data zero del tour teatrale di Marco Mengoni sarebbe stata il 15 aprile 2012 a Castelleone (in provincia di Cremona), a meno di un’ora di macchina da casa mia, la prima cosa che ho pensato è stata: “No, non posso, troppi problemi logistici, troppe cose da sistemare, non riesco…”. Tempo trenta secondi ed ero già incollata al pc per avere informazioni su biglietti, indirizzi, su chi tra le amiche avrei trovato lì, con l’euforia che cresceva ogni istante. Difficile rinunciare alla prova generale, quella in cui tutto si svela e tutte le supposizioni sul nuovo tour trovano una risposta.
Poi, il grande giorno è arrivato, mi ritrovo in compagnia delle amiche, che non sono più virtuali, ma splendide persone in carne ed ossa che ho conosciuto grazie a Mengoni. La gioia dell’incontro esplode in un lungo abbraccio poco prima di entrare in un teatro che, seppur raccolto, è pienissimo, talmente tanto che sono state aggiunte molte sedie nei corridoi laterali. Eppure non basta: in fondo c’è molta gente in piedi.
Pubblico trasversale, di ogni età, ma certo tutte persone gioiose, larghi sorrisi che respirano un’aria di attesa. I tendaggi sul palco nascondono la scenografia così da scatenare l’immaginazione… Ma le luci si spengono, si apre il sipario e tutto ha inizio.
La sezione ritmica, le tastiere e le due chitarre si accompagnano ai nuovi ingressi di un contrabbasso elettrico, di gong e percussioni varie oltre che a quella della sezione fiati, il tutto in una scenografia essenziale: un grande telo bianco fa da fondale, lunghi teli di velo rettangolari di diverse misure scendono dall’alto.
Sulle note di “Tonight”, con protagoniste la tromba ed il sax soprano, irrompe la voce di Marco, la sua ombra gigante viene proiettata su un enorme telo di velo che scende dall’alto regalando un’immagine fortemente suggestiva. L’atmosfera, riscaldata dalla sua voce, diventa avvolgente.
Al termine l’artista strappa il velo (e strappa il velo in ogni senso sullo spettacolo) e si inerpica sulle note di “Credimi ancora”, con l’acuto finale che fa impallidire i presenti per potenza, bellezza e perfezione.
Lui è elegantissimo, completo nero e camicia bianca. Si muove sul palco sinuoso come un gatto, catalizza gli sguardi, carismatico, magnetico. Non lascia indifferenti, la sua voce e la presenza scenica sono da artista internazionale.
Il concerto prosegue con “Questa notte” che mette in evidenza le tastiere e il sax soprano.
Arriva quello che per me è il momento più atteso, il capolavoro di Mengoni come testo, come messaggio, come musica, “Solo (vuelta al ruedo)”,che in teatro ha raggiunto un’intensità indescrivibile; si percepisce che questa canzone parla molto del giovane cantante, e lui la interpreta con tutta l’anima, con la tromba che ne rende l’arrangiamento ancora più prezioso. Il pubblico esplode in un boato, l’applauso sembra non voler finire mai.
Si prosegue con la prima cover “Can’t help falling in love” di Elvis Presley, che Mengoni calza come un guanto: sembra scritta per lui.
Si prosegue con “Stanco”, completamente riarrangiata e con il Nostro che termina suonando i bonghi.
Dall’inferno” è spiazzante, carnale, sensuale. Alla fine la musica diventa afro-tribal, si scatenano le percussioni con Marco Mengoni inginocchiato a suonare la sua parte.
Searching” ha un sapore internazionale, molto bella. Si arriva all’emozione de “L’equilibrista” con la voce al massimo e la dolcezza che invade il teatro, con il sax in evidenza. La canzone finisce con l’artista che crea con la mano giochi di luci ed ombre sul fondale di velo, creando l’effetto di un muro che si muove. La frase finale poi assume un significato molto intenso: “Nonostante tutto, io sono sempre comunque lo stesso…”. Perché si può dire tutto quel che si vuole su di lui, ma è certo che Mengoni è sempre stato quello che abbiamo visto in tutto il suo talento, in tutta la sua schiettezza, in tutta la sua umiltà.
Con la tromba partono le note di “Solo (bolero)” che improvvisamente si trasformano in quelle di “Innuendo” dei Queen – ho avuto un colpo al cuore! Perfettamente a suo agio nel pezzo, mi ha lasciata a bocca aperta e non mi vergogno a dirlo.
Arriva “Psycho Killer” con tanto di acuto finale, poi si capovolge registro con “Tanto il resto cambia”, ricca di vocalizzi lirici e voce altissima, tanto che mi sono ritrovata inconsapevolmente a stritolare la spalla della mia amica accanto, per scaricare l’emozione.
Dopo un quarto d’ora di pausa si riprende con un cambio d’abito (maglietta grigia scura a maniche lunghe molto aderente e pantaloni neri) e con l’aggiunta sul palco di un lampione che ci porta ad atmosfere da notte americana. Parte il jazz con il contrabbasso elettrico, tromba, sax contralto in una nuova versione di “In viaggio verso me”.
Mengoni improvvisamente scende dal palco e cammina in mezzo al pubblico: vedo i suoi occhi da vicino e sembrano lampeggiare. Sono gli occhi di un artista che sa quello che vuole e che riesce a trascinare con sé il suo pubblico. C’è un enorme magnetismo, il pubblico è rapito.
Arriva “Mangialanima” in versione funky-soul, con l’aggiunta di un piccolo accenno a “Kiss” di Prince.
 “Come ti senti” è travolgente, con largo uso degli strumenti a fiato, e con quel “Oh se tu potessi solo immaginare… quanto mi fa male a me….” che sembra sempre più rivolto alla critica più sorda.
Da qui parte uno dei momenti più alti dello spettacolo, in pieno stile Motown: un medley di cover scelte con cura e dal risultato sorprendente. Sono rimasta senza fiato. “Signed sealed delivered I’m yours” di Stevie Wonder scatena il pubblico, splendido assolo del sax contralto. Ecco “Sunny” di Marvin Gaye con assolo di chitarra elettrica da brividi, “Move over” di Janis Joplin, “Nutbush City Limits” di Tina Turner. Il pubblico applaude senza potersi fermare.
Si torna in “proprio” con “Un finale diverso”. Marco parla al suo pubblico ringraziandolo, con fare da mattatore lo coinvolge con alcune battute che strappano risate, poi torna serio nell’omaggio a quelle grandi persone che nascono per donarci tanta arte, si mette in ginocchio nel buio del teatro, illuminato dalla sola luce del lampione sul palco e intona “Rehab” di Amy Winehouse quasi a cappella, accompagnato solo dalle percussione e dal battito di mani ritmico dei musicisti. Qui l’interpretazione è struggente.
Segue uno dei cavalli di battaglia di Marco, le beatlesiana “The fool on the hill” riarrangiata con contrabbasso e fiati, seguita dalla novità di “The switch” dei Planet Funk con assolo di sax.
Dove si vola” è molto più intimista e molto sentita: “Cosa mi aspetto da te?”, Marco guarda il pubblico e sussurra un “Niente…” che scatena il boato del pubblico.
Ecco “La Guerra”, con largo uso dei fiati. Poi è su uno scat improvvisato che Marco scende di nuovo tra il pubblico per presentare la band (complimenti ai musicisti: sono bravissimi!) e per far notare al pubblico i titoli di coda che scorrono sulle pareti, si canta tutti insieme “No more no more no more”.
Finge che il concerto sia finito, ma non ci casca nessuno. Si accuccia sul palco con le luci basse ed intona “In un giorno qualunque” in versione acustica con chitarra e percussioni, rendendo questa canzone ancora una volta diversa. Si sdraia completamente e continua a cantare mantenendo l’intonazione. Chi ha sentito l’audio senza vedere mai potrebbe immaginarsi che canta sdraiato in quella posizione assurda con voce perfetta. Verso la fine, sempre sdraiato, mima una camminata al rallentatore. “In un giorno qualunque spero di rincontrarti ancora, rivederti ancora .. Dove sei andata?” .
Segue uno scambio di battute con il pubblico, con cui ha un feeling innegabile.
Si chiude il concerto con “Uranio 22”, con megafono, tromba e luci cangianti che si proiettano sul fondale.
Marco ringrazia, saluta e chiede di chiudere il sipario. Anche qui non ci crede nessuno.
Tempo qualche minuto ed ecco di nuovo Marco in tutta la sua simpatia che fa il bis di “Come ti senti”, invitando il pubblico di scatenarsi a più non posso, dimenticandosi di essere a teatro. Neanche a chiederlo siamo tutti accalcati sotto al palco, ad un metro da lui, scatenandoci e urlando per manifestargli tutto il nostro affetto e il nostro GRAZIE!!!
Lui ringrazia mille volte e se ne va, stavolta il concerto è finito davvero. Sono le 23.45, quasi tre ore di concerto e 28 canzoni. Lui aveva tanta voglia di cantare live e lo ha dimostrato, il pubblico è con lui.
Mi guardo intorno, occhi lucidi, gente che si abbraccia, il pubblico “nuovo” è incredulo.
Senza troppo contorno è uscita la vera essenza di Marco, un artista che ha la capacità di sedurre il pubblico con un voce potentissima e una presenza scenica difficile da trovare in un cantante così giovane, difficile da trovare non solo in Italia. Un carisma da artista internazionale. Basta ascoltarlo e guardarlo sul palco per comprendere il livello artistico altissimo di questo ragazzo di soli 23 anni, che si è preso sulle spalle la direzione artistica di questo tour teatrale di cui è regista. La direzione musicale è di Elisa e Rigonat, che dimostrano di credere moltissimo (come tutti noi del resto) nella grande caratura di questo artista.
Nonostante io abbia visto molti concerti nella mia vita, sono rimasta frastornata. Marco Mengoni ha la musicalità che gli scorre nel sangue e vive le sue emozioni sul palco trasmettendole al pubblico con grande empatia. Marco ha il paradiso nella voce e l’inferno nello sguardo, un artista completo, un ragazzo che farà tanta strada, mai come ieri sera ne ho avuto la consapevolezza. E per chi ha ancor qualche dubbio, per chi pensa che questo sia il reportage “solo” di una fan incallita, l’invito è di non perdersi la prima del tour a Milano, al Teatro degli Arcimboldi, il 19 aprile. Perché Mengoni è addirittura molto, molto di più.

Articolo scritto da Sue.

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