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sabato 16 giugno 2012

Fronte del palco

 

...Quando la musica ed il canto diventano patrimonio di tutti
si crea un'energia immensa che, dalla notte dei tempi,
ha unito gli esseri umani più di ogni altra cosa. In quel momento,
la storia raccontata dall'artista diventa la storia di ciascuno...


Il parterre del Filaforum di Assago per la prima data del Solo 2.0 Tour di Marco Mengoni il 26 novembre 2011

Arrivare presto, addirittura il giorno prima, magari spostandosi con tutta la famiglia, bimbi piccoli compresi. Dormire – più o meno – fuori dai cancelli per riuscire ad essere ammessi nel “pit” la zona immediatamente sotto il palco. E anche lì, cercare di essere nelle primissime file: e quello che succede allora si vede sui maxischermi. Certo, lui è il Boss, Bruce Springsteen, per tre generazioni il “rocker” per eccellenza: camicia a quadri, jeans, chitarra, stivali e via andare, da più di trent'anni, a raccontare il mondo in quattro quarti. 

Bruce Springsteen a Firenze il 10 giugno 2012. Nonostante l'acquazzone,
il rocker ha cantato e suonato per tutte le tre ore e mezzo del concerto
a stretto contatto con il suo pubblico, scambiando con la folla
abbracci, strette di mano, sorrisi complici e scherzi. Alla fine dello show
ha inseritoin omaggio al pubbico Who'll stop the rain.
Foto di Jo Lopez tratta da
Ma questo, da solo, non basterebbe a scatenare quello che succede ai suoi concerti: la grande magia è che lo spettatore più lontano, quello in cima all'ultimo posto dello stadio esce con lo stesso sorriso felice di quello in prima fila che gli ha stretto la mano, che gli ha dato un oggetto, che ci ha parlato durante i pezzi. Nessuno si sente privato di qualcosa, tutti si sentono amici, fratelli. Le canzoni cantate a squarciagola, magari sotto la pioggia battente, i sorrisi, le battute vanno e vengono dal palco con la naturalezza di un amico, uno che nella tua vita c'è sempre stato, come le scarpe da ginnastica o l'odore del caffè.

Certo, l'entusiasmo ai concerti rock fa parte dello show: si canta, si balla ci si emoziona... anzi, dopo un po' rischia di diventare un cliché. Sono pochi gli artisti che riescono a mantenere vivo e pulsante il rapporto con il pubblico. Dopo decenni, gli stadi e i teatri stracolmi che gridano ed osannano rischiano di diventare una routine, e allora l'incanto è finito. Ma cos'è che spinge un uomo - che è un mito persino per il Presidente degli Stati Uniti - ad infradiciarsi e a scendere fisicamente in mezzo a sconosciuti di tutto il mondo, quando potrebbe fare il suo bel concerto tutto sul palco, sicuro comunque del suo inossidabile successo?

Forse la stessa spinta, lo stesso bisogno di contatto che ha un artista giovanissimo come Marco Mengoni, che durante il suo tour teatrale non ha mai mancato di camminare in mezzo alla platea, di sbucare a sorpresa in un palco pieno di pubblico o di condividere il microfono con chi si trovava davanti. 

Marco Mengoni a Varese, 11 maggio 2012. Foto di Alberto Capitanio
Ci sono artisti che hanno sete di sguardi mentre cantano un brano per la centesima o la millesima volta, poiché sono quegli occhi, quelle anime che rendono tutto diverso e necessario. Quando la musica, ed il canto in particolare, diventano patrimonio di tutti si crea un'energia immensa che, dalla notte dei tempi, ha unito gli esseri umani più di ogni altra cosa. In quel momento, la storia raccontata dall'artista diventa la storia di ciascuno, che si sente libero di sorridere o di piangere, certo di essere capito da coloro che lo circondano. È così che un concerto diventa qualcosa di più che la mera occasione di ascoltare un artista che si esibisce, diventa un momento di vero incontro, di contatto tra persone sopra e sotto il palco. Il pubblico lo sente, lo avverte e non si sbaglia.

È il famoso “cinquanta per cento” che Marco non manca mai di ringraziare perché, dal più vicino al più lontano, ogni spettatore contribuisce a creare uno scambio emozionale unico anche per l'artista, un respiro di vita che negli anni diventa sempre più grande e più prezioso. (mlml)

Marco Mengoni a Varese, 11 maggio 2012. Foto di Alberto Capitanio

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