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domenica 1 marzo 2015

La leggera inconsapevolezza del fingere


di Emilia Gatti

"La finzione è come una tela di ragno attaccata, sempre leggermente forse, ma comunque attaccata alla vita con tutti e quattro gli angoli. Spesso il legame è appena percettibile" 

Marco Mengoni in un frame del video Esseri Umani

Sì, prendiamo in prestito le parole di Virginia Woolf per sottolineare un paio di cose che abbiamo trovato nel video di Esseri Umani e che ci hanno colpito molto, che ci sono sembrate importanti. 

La finzione è una ragnatela, un velo leggero che sembra debolissimo ma che cresce, si allarga, quasi dilaga, lasciando vedere il mondo - e noi al mondo - in modo poco nitido, opaco. Fuori fuoco, proprio come viene messo in evidenza dalle immagini pensate da Marco Mengoni e puntualmente dirette da Cosimo Alemà. 

È una sfocatura funzionale, che quasi nasconde le brutture di un mondo fatto di rovine, di cumuli di spazzatura, di grigio anonimo che tutto sembra voler contenere. Un senso di uniformità che non ha segni di vita, se non per il colore sgargiante delle maschere, di quel giallo che prorompe da ogni cuore pulsante, da ogni essere

Essere come essere che vive, e poco importa che sia rosso, bianco, nero o tutto colorato. Esseri che non sono perfetti, che indossano canottiere e camicette con la scollatura sgualcita, come ogni giorno, come sempre, ma soprattutto come ovunque. 

Esseri che si perdono a guardare la finzione altrui (cercando la verità dietro una fiction), in un gioco di rimandi che potrebbe non aver fine se non ci fosse un urlo, quell'urlo, quel «credo negli Esseri Umani» che aggiunge un aggettivo, e con lui la verità di ciò che siamo. Umani, ovvero consapevoli di avere diritto al rispetto e alla comprensione.

Comprensione soprattutto della nostra umanità, e quindi in grado di riconoscerla negli altri, perché negli altri ci specchiamo. Di nuovo un rimando senza fine: se cerchiamo la nostra verità negli altri, se gli altri indossano maschere si rischia di non vedere, di non vedersi più fino a non sentirsi più. 

Ecco l'importanza della lingua dei segni. Puoi essere sordo a te stesso, sordo a quell'urlo lanciato sulle macerie del mondo, ma puoi sempre vedere la realtà schietta e senza fraintendimendi in un gesto, che sia una lingua o semplicemente una mano tesa in aiuto. 

Non c'è emozione nei volti con le maschere gialle. Non c'è alcun segno di distinzione "umana". Tutti uguali, tutti egualmente fingitori. Tutti: la bella bionda, il giovane riccioluto, il tatuato... ognuno dei personaggi del video ha qualcosa che lo potrebbe rendere speciale, eppure non c'è alcuna messa a fuoco sull'avvenenza della bionda, sul piercing della rossa o sui bicipiti del forzuto. Niente. Tutti sotto la stessa, uguale, piatta maschera. 

Un messaggio che messo così sembra "senza speranza", ma il video - grazie alla profondità del soggetto e alla bella regia - infonde coraggio e forza. Perché non c'è retorica
Niente, neanche un accenno. 

Non ci sono "diversi", non c'è alcuna traccia di compassione. Non c'è alcun "poverino!" per cui parteggiare anche solo per i 4 minuti del video. Persino la ragazza con la sindrome di Down è un'atleta olimpionica, negando così ogni possibile effetto pietas al nostro ego in cerca di "inferiori". Siamo tutti uguali

Non c'è alcuna via d'uscita da questo - scomodo - concetto. Siamo tutti uguali, tutti ugualmente mascherati, addirittura tutti mascherati allo stesso modo. Perché tutti, in fondo, vogliamo le stesse cose. Anzi, la stessa identica cosa: vogliamo essere amati, e per di più vogliamo essere amati per quello che siamo davvero

L'immagine finale, la smorfia amara di chi si guarda allo specchio e non si riconosce, è il monito più terribile del video. Monito cui segue l'unica vera indiscutibile via d'uscita: siamo umani. Riconosciamolo agli altri, riconosciamolo a noi stessi. Accettiamoci per quello che siamo e accetteremo tutti per quello che sono.

La storia degli esseri umani lo insegna: l'amore ha vinto, vince e certamente vincerà.


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