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Marco Mengoni, Sarah Jane Morris e Giovanni Sollima - Teatro Valle Occupato |
... Si fa musica
con gli occhi,
con il corpo,
con l'espressione
del volto.
Si fa musica ascoltando,
si fa musica giocando...
con gli occhi,
con il corpo,
con l'espressione
del volto.
Si fa musica ascoltando,
si fa musica giocando...
Non esistono luoghi al mondo in cui non
soffi un alito di vento, nei quali l'aria sia assolutamente ferma,
immobile, statica. A noi può sembrare forse, in giornate di pesante
calura, ma anche allora c'è scambio correnti tra l'alto e il basso
dell'atmosfera. Allo stesso modo non c'è persona al mondo in cui
non risuoni una nota di musica, in cui un ritmo, una melodia non
trovino spazio per esprimere un'emozione.
Nasciamo al ritmo del
cuore che ci ospita e viviamo poi al ritmo del nostro metronomo
naturale che rintocca pressappoco al tempo che abbiamo definito
minuto secondo.
Viviamo musica, respiriamo musica attraverso le
frequenze dei colori, la velocità e il tono del linguaggio, il
battere delle nostre palpebre. E ne abbiamo sempre bisogno, è come
l'acqua che placa un sete dell'anima, che senza di essa può seccarsi
e morire perché non ha più il mezzo per esprimersi in modo
immediato, spontaneo, comprensibile a tutti.
La musica non è
un'arte, una tecnica da apprendere e da perfezionare, o almeno, non è
solo quello. Ieri al Teatro Valle durante una straordinaria serata
che ha visto alternarsi sul palco artisti della più varia
provenienza, il maestro Enrico Melozzi ha riproposto un messaggio che
già qualche decina di anni fa irrompeva nell'ultraconservatore mondo
musicale italiano: “Chiudiamo i Conservatori, aboliamo il
solfeggio!”
Certo non è abolendo l'alfabeto che ci si libera
dai condizionamenti del linguaggio, ma la provocatoria frase creava
un piacevole scompiglio in chi si sentiva intimidito a trovarsi in un
teatro così ricco di storia, nel quale hanno suonato Mozart e
Rossini (intendendo gli individui e non le loro opere) e in cui i 100
violoncelli – ed i loro cooperanti umani, i violoncellisti –
convocati dal mestro Giovanni Sollima, dopo una non facile
sistemazione logistica creavano straordinarie prospettive
sonore.
Fare musica non è fare sfoggio di bravura, non è
arrivare alla nota più alta o più bassa, o stupire con la potenza
di un acuto. Si fa musica con gli occhi, con il corpo, con
l'espressione del volto. Si fa musica ascoltando, si fa musica
giocando, si fa musica sapendo aspettare il momento giusto per
emettere un suono, perchè quello che un attimo prima era presto, un
attimo dopo può essere perfetto, per arrivare a riempire il vuoto
che chiedeva quel suono.
Marco Mengoni non vuole esssere un
virtuoso, anche se la sua voce gli permetterebbe di costruirsi una
carriera solida e redditizia solo sui sontuosi vocalizzi della sua
stupefacente estensione. Non gli interessa la cornice, la
decorazione, l'artificio fine a se stesso. Vuole creare suoni, così
come li creano i violoncelli: per loro stessa natura. Ed in ogni
suono deve brillare un riflesso della sua anima, che sia il filo
sottile e luminoso del finale di una canzone o la pernacchia
irriverente ad un maestro che tutto il mondo ci invidia.
Sul
palco del Valle c'era Marco con la sua voce, il suo violoncello
invisibile, e c'erano artisti più noti e ricchi d'esperienza, ma
accomunati dall'esigenza di creare armonie vere, necessarie e sincere
per dare al pubblico la possibilità di vibrare insieme a loro e
dissetarsi di musica. (mlml)
perchè un suono senza l'anima di chi lo produce è solo un mero fenomeno acustico...e Marco, "con la sua voce, il suo violoncello invisibile", fa vibrare le nostre anime di tutta l'emozione che ci trasmette dal profondo del suo Essere...
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