Appunti sparsi
Marco Megoni ha in sé un potenza comunicativa davvero fuori dalla norma. Basta un movimento rapido delle sue sopracciglia per dipingere un'intera storia, che parte dalla sensazione evocata e che poi si dipana secondo il nostro personale vissuto. Con un singolo, rapido movimento di sopracciglia.
Figuriamoci quando poi ci aggiungiamo il suo sguardo profondo e quell'atteggiamento nervoso del mento e della bocca, assolutamente non in sincrono con tutto il resto: mentre lo sguardo ti implora, la bocca sorride beffarda, e così il contrario, tanto che c'è bisogno di un paio di occhiali per schermare – o almeno provare a farlo – il suo innato magnetismo. Ecco che ci si accorge che attorno a questa figura magra e stropicciata gira tutto un mondo, scalzo, e con un ritmo che sembra nulla avere a che fare con la musica e, soprattutto, con la storia che questa musica racconta.
Poi, si osa, si va un po' più oltre e le tessere del mosaico si compongono, una dopo l'altra.
Un rito pagano agli dei della musica, l'incontro tra una divinità – purezza tentatrice – e un essere umano che da qui a quattro minuti esatti sarà un semidio, ovviamente con tutto il carico di autoironia che l'ultimo sorriso, sfumato in una risata divertita, ci restituisce.
Un rito pagano agli dei della musica, l'incontro tra una divinità – purezza tentatrice – e un essere umano che da qui a quattro minuti esatti sarà un semidio, ovviamente con tutto il carico di autoironia che l'ultimo sorriso, sfumato in una risata divertita, ci restituisce.
I simboli - dal bianco alle fragole, dalle ceneri serpeggianti all'acqua, dagli strumenti musicali fino alla gabbia degli eretici - in quel momento smettono di essere simboli: tutto il loro significato artificioso si infrange restituendoci quello che in realtà sono.
Eppure... eppure resta qualcosa di sospeso, un non detto che sta tutto nella musica, nei suoni distorti del raddoppio, nella disperata rassegnazione di una voce potente eppure di cristallo che quasi non lascia salvezza alcuna.
Sull'altare della musica ci si immola. O tutto o niente. Ci si può maledire, si può anche tentare la fuga, ma alla fine c'è una porta che bisogna aprire. Dopo, sarà quel che dovrà essere.
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