Ce
ne sarebbero di cose da dire... Ma non ci dilunghiamo e ci limitiamo
a segnare in un post
quanto sta succedendo da un paio di giorni a
questa parte. Come se prendessimo appunti
per non dimenticare questi
“step” davvero piacevoli.
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Marco Mengoni sul palco del Festival Giorgio Gaber mentre introduce "Destra-Sinistra" foto della Fondazione Giorgio Gaber |
Il
fatto è che da quando si sente per radio Destra-Sinistra nella
interpretazione funkeggiante di Marco Mengoni, tutti - o meglio -
quasi tutti sono lì, in prima fila, a riconoscere il talento
dell'artista laziale. A cominciare da Mario Luzzatto Fegiz,
continuando con Andrea Laffranchi, fino a Luca Dondoni che ai
microfoni di RTL si lascia sfuggire un “da pelle d'oca” che fa
molto piacere.
Certo,
nessuno sta scoprendo ora le doti del Nostro. Forse tutti - o meglio
- quasi tutti stanno avendo la conferma di quello che fa del musicista
laziale una vera stella del firmamento musicale di questi nostri
giorni: il coraggio di essere la musica che più gli va. Ci vuole
molto carattere (e quel pizzico di presunzione che trasforma un
cantante in un Artista) a prendere un classico come la canzone di
Gaber (probabilmente la più famosa) e farne un pezzo “nero”,
senza mancare di rispetto all'autore, ma stravolgendola in una
versione più attuale, mantenendo intatta tutta l'ironia del testo,
della sua interpretazione, eppur declinandola in modo personale.
Ce
ne vuole di carattere, e tanto. Perché Gaber non è certo un artista
“normale”. Libero pensatore, libero nelle sue interpretazioni rock
(suo è stato il primo pezzo rock italiano) come nelle sue canzoni
all'italiana; libero di fare una veloce incursione nella
canzone napoletana quando il Paese vestiva l'eskimo e leggeva
Kundera, libero di rifiutare l'accostamento con la chanson francese,
libero di credere in uno strambo giovane catanese (che rispondeva al
nome di Franco Battiato) che vestiva fuseaux quando si cantava barba
lunga-sgabello-chitarra; libero di dare un calcio alla fama e al
successo garantiti dalla televisione per immergersi in un mondo che
sentiva più suo, quello del teatro.
Il
risultato? Gaber è diventato l'artista dei radical chic, lui che ha
portato sulle scene il Signor G e che sottolineava come Da un lato
esistono persone che accettano passivamente tutto quanto viene loro
propinato dal sistema. Dall'altro esistono quelli che credono di
porsi in modo antagonistico al sistema, ma il loro antagonismo è
fasullo e nel giro di breve tempo viene recuperato. Vedi la moda dei
jeans che ormai alimentano vere e proprie industrie. Entrambi i tipi
non sfuggono alla massificazione.
Non
è che qui si vuole fare un paragone tra i due: con tutta la stima
per il giovane di Ronciglione, il signor Giorgio Gaberscik ha dalla
sua oltre 40 anni di palcoscenici, oltre 40 anni di lavori con cui ha
“giocato” a far la Cultura di questo Paese, spingendosi anno dopo
anno sempre più in là di quanto fosse al passo con i
tempi, tanto che soltanto oggi – forse – stiamo iniziando a
comprendere davvero la forza dei suoi lavori, che si tratti di una
canzone o di uno spettacolo intero.
Semmai,
quello che sembra suggerire tutta la vicenda è che forse ancora non
siamo guariti dalla paura del nuovo, di quello che non è
“classificabile” secondo una scala predefinita e applicabile con
precisione matematica. Solo se qualcuno (meglio se stampa o tv) ne certifica la validità, allora, forse, siamo disposti ad
ammettere che sì, si tratta di qualcosa di piacevolmente
inaspettato. Nonostante questo qualcosa ci abbia indotto, fin
dal primo ascolto, una illogica allegria capace di farci star bene.
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