Marco Mengoni al Teatro Valle Occupato (ph_Pina Pichetti) |
A poco meno di un mese
dall'inizio del nuovo tour,
impressioni, attese e certezze
in vista dell'esordio al Teatro
degli Arcimboldi di Milano
Il 19 aprile è proprio lì, ormai dietro l'angolo. Il
palcoscenico inizia a riempirsi di “conti alla rovescia”,di
vestiti da indossare che cambiano almeno un paio di volte ogni ora,
di appuntamenti dati per il primo pomeriggio, di orari di voli e di
treni. Ecco che si sentono già i primi echi
di domande e di attese.
Si sente già quel “luci!”
imperativo della regia, segnale che spegne la sala e che trasporta,
qualche secondo dopo, proprio lì, al centro della scena, dove... Cosa succederà al centro della scena?
E chi può dirlo... Certo sappiamo che
Davide Sollazzi, Giovanni Pallotti, Peter Cornacchia e Stefano
Calabrese saranno lì, chitarre-basso-batteria pronti a far fronte ad
ogni impennata del solista che arriverà sul palcoscenico, ancora una
volta, deciso a stupire il pubblico.
Marco Mengoni in questi ultimi mesi ha
fatto quello che c'era da fare: scrollarsi di dosso gli ultimi
rimasugli musicali da ex-talent e intraprendere, senza neanche un
dubbio, quella che sente essere la sua strada, il suo modo di cantare
la musica.
Sfrontato? sì. Coraggioso? Sì, anche.
Sicuro, soprattutto. Sicuro che la musica che sente dentro di lui,
quella che più gli calza addosso è quella che vuole fare, senza
concessioni o compromessi. Forte del consenso ricevuto in tutti
questi anni (e sono solo 3 da che è giunto davanti ad un pubblico!),
ha raggiunto la consapevolezza di sé, di quello che vuole fare e
verso cosa andare. Magari non sarà la scelta più facile del mondo,
ma quando mai questo giovanissimo ha deciso per la via più facile?
No, non sarebbe la sua via.
Immaginatelo a tirar giù una scaletta tutta “cuore-amore”. Con
il talento che si ritrova, la strada per il vertice delle classifiche
di vendita sarebbe per lui tutta in discesa. No. Per Mengoni il canto
non è la via che porta al “successo di cassetta” tout-court. "A Marco non piace fare il cantante,
a Marco piace cantare", dissero di lui quasi tre anni fa. Ed è
vero. Marco canta. Ed ha deciso ancor più fortemente di seguire
questa urgenza dell'anima.
Proprio come abbiamo visto durante il
Solo 2.0 Tour del 2011, due date che avrebbero dovuto restare lì,
eventi unici da incorniciare, e che invece si sono moltiplicate per
oltre un mese, replicando per ciascuna delle altre otto date un
successo di pubblico davvero inconsueto per il nostro panorama. Ma
Mengoni non ha mai “replicato” lo spettacolo, ne ha inventato uno
nuovo ogni sera, analizzando l'umore del pubblico presente con la
lucidità dei grandi e cucendo addosso agli spettatori ogni sera
diversi il concerto più giusto, più atteso.
Marco showman in erba con il Re Matto Tour (una tournée da record in ogni senso: una cinquantina di date
per un totale di pubblico davvero sorprendente); Marco – un anno
dopo – showman dal piglio sicuro che mette in fila più di due ore
di spettacolo danzando con estrema naturalezza tra il pop, il jazz,
il rock, il blues e l'elettronica; Marco crooner “esperto” che
regala al pubblico natalizio una magnifica Christmas Song, reggendo
senza un tentennamento il confronto con il grandissimo Nat King Cole.
Marco animale da placoscenico che incatena cuori, occhi e orecchie
sul palco del capodanno di Catanzaro, lasciando già intravedere la
sua nuova strada.
Strada che abbiamo compreso 67 giorni dopo quando,
dopo due mesi di silenzio, è tornato al Teatro Valle Occupato per un
breve saluto. E lì è stato tutto chiaro. Lì tutti hanno potuto
“sentire” cosa avesse fatto Mengoni in quelle settimane di
assenza. Ha scelto. Ha scelto senza un tentennamento di seguire la
sua musica. Qualunque essa sia e ovunque lo porterà. Sarà verso il
pop o il jazz, sarà verso il rock o il blues, l'elettronica o la
sperimentale... non lo sappiamo ancora. Ma qualunque sia, sarà
certamente soltanto una tappa di un percorso artistico molto intenso,
certo sorprendente, ma affatto matto.
Sì, il Re Matto è morto. È nato
l'artista, libero della sua stessa arte, che sembra bisbigliarci con
ogni suo sguardo, con ogni sua nota, quello che ha cercato di
insegnarci Hegel: “La musica deve elevare l’anima al di sopra di
se stessa, deve farla librare al di sopra del suo soggetto e creare
una regione dove, libera da ogni affanno, possa rifugiarsi senza
ostacoli nel puro sentimento di se stessa”.
complimenti al genio che ha scritto questo articolo !!! veramente è perfetto come lo è marco
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