di Marghe Laurenti
Buio
improvviso. Il palazzetto esplode in un boato. Lame di luce fendono
l'aria disegnando motivi geometrici mentre gli strumenti materializzano
accordi tenuti. Tastiere, basso. Anche il più distratto dei distratti
capisce che sta iniziando il concerto. Pecussioni. La luce aumenta. Il
pubblico scandisce il nome dell'artista, batte le mani, i piedi.
Chitarre. Che la festa cominci.
Non ricordo più il primo concerto a cui ho partecipato, ma ricordo bene l'ultimo. Marco Mengoni al PalaAlpitour di Torino, novembre 2016.
Si sa che un concerto inizia molto prima della musica. Per qualcuno comincia con l'acquisto del biglietto (gare di velocità sulla tastiera che polverizzano ogni record precedente), per altri quando parte la marcia di avvicinamento alla venue (“aereo, treno, automobile, bicicletta o semplicemente a piedi”, dice Marco ringraziando il pubblico fin dall'inizio, come è sua abitudine).
Per altri è la coda per entrare, che fa scattare l'euforia... ma quando il basso ti fa vibrare le budella, allora l'astronave sta davvero per decollare.
Il PalaAlpitour è davvero grande, ma con dodicimila persone dentro che sorridono tutte insieme diventa caldo e intimo come il salotto di casa. Marco continua a ripetere “Ma vi vedete quanto siete belli?”, ed in effetti il colpo d'occhio è, se mi si passa l'espressione, positivamente devastante.
Marco Mengoni ha recentemente dichiarato in un'intervista: «Un concerto è un viaggio su due strade parallele tra artista e pubblico, non è lo stesso viaggio se non è fatto insieme».
Quindi tutti questi volti, tutte queste età, altezze, colori, gesti, abiti, capelli, tutte queste attitudini, idee, umori e verità stanno per fare un viaggio nel viaggio.
Marco vede, sente, capta tutta l'energia che lo circonda. Avverte il bisogno che tutte queste persone hanno di esprimere la propria emotività attraverso di lui. La gente arriva per la musica di Marco Mengoni, ma porta con sé la musica della propria vita, che non sempre è bella, non sempre è piacevole o allegra, ma può colorarsi in modo diverso grazie alle due ore che passerà con lui.
Allo stesso modo ogni concerto si connota di tutto quello che Marco vede e sente arrivare dal pubblico: come un pittore che può ritrarre lo stesso soggetto centinaia di volte senza mai dipingere lo stesso quadro.
Come potrebbe ignorare, ad esempio, che la bimba di pochi anni sulle spalle del papà potrebbe essere al primo concerto della sua vita? O che la coppia di signori a metà parterre forse ha imparato l'italiano anche tramite le sue canzoni, quelle che ora sta cantando a squarciagola?
«La musica è bisogno. Dobbiamo assecondare questo bisogno e fare uscire la verità», ha dichiarato.
La verità esce dalla bellezza, dalla cura, dalla fantasia, dal calore, dalla fusione con gli altri elementi della band, da quello "di suo" che Marco vuole offrire a chi viene ai suoi concerti: «Non è vero che il pubblico non è pronto ad accogliere suoni ed accordi diversi, il pubblico è pronto ad accogliere la verità».
Di nuovo questa parola forte, che Mengoni non teme di ripetere e che insieme a “libertà” e “rispetto” risuonano spesso nei suoi discorsi.
Nel tempo passato in sua compagnia tutto torna al giusto posto: si può essere bravi, belli, buoni e anche divertenti, si può cambiare pelle senza cambiare vestito e “zompare” da un'epoca musicale all'altra nel giro di un medley, trovarsi in un locale funky e molto cool, e un attimo dopo su una spiaggia giamaicana, oppure sotto la finestra dell'amato bene a ricordare l'amore che, in fondo, non ci ha mai lasciato.
Ed è tutto profondamente autentico e sincero: «La verità che sta all'interno della canzone è la verità con la quale la comunichi».
Marco Mengoni sta terminando le date italiane conclusive del suo Progetto iniziato con "Guerriero" nel 2015, ed affronterà pubblici ben diversi nei concerti che terrà in Europa. Vedrà volti ed espressioni diverse, si esprimerà in altre lingue e “sentirà” altre vibrazioni, ma la sua scintillante verità di artista sarà l'arma migliore per conquistare le loro emozioni.
P.S. Della bravura di Marco, del grandissimo lavoro che ha fatto sulla sua vocalità, del livello eccellente di tutti i suoi musicisti e delle vocaliste, della ricerca dei suoni e della cura maniacale della resa sonora non diciamo nulla: è appena uscito “Marco Mengoni Live” che è uno splendido, imperdibile ascolto.
mercoledì 30 novembre 2016
domenica 23 ottobre 2016
Sai Che, un gesto artistico multiforme
- di Marghe Laurenti -
Capitolo finale. Con queste parole Marco Mengoni conclude il video del singolo Sai Che, uscito venerdi 14 ottobre e balzato subito in vetta alle classifiche audio e video in Italia e anche in alcuni paesi europei.
Parole e colori, i tre fondamentali e i tre composti che erano la cifra grafica dei due album (Parole In Circolo e Le Cose Che Non Ho) che a loro volta hanno costituito il progetto dell'artista negli ultimi due anni.
Il video inizia con un fade-in e termina con un fade-out entrambi molto delicati, le immagini sembrano emergere dal buio dell'interiorità, e poi svaniscono in un vento che potrebbe portarle – chissà – alla persona che ha ispirato la canzone.
Già questi elementi non strettamente musicali hanno un carattere ben preciso e confermano la volontà di Mengoni di porgere un brano come un gesto artistico multiforme, con colori, suoni, testo scritto, immagini, atmosfere profondamente connessi tra loro.
Capitolo finale, quindi, come un after-hour, un tocco conclusivo e necessario ad un lavoro di grande respiro, che si è dipanato nel tempo e nello spazio coi suoi live enusiasmanti e che, in qualche modo, non poteva semplicemente esaurirsi quando l'ultimo dei tecnici si accendeva una sigaretta.
È come se - dal debutto di Guerriero ad oggi – Marco avesse dato vita a un evento artistico unico e ininterrotto e voglia salutarci con questo “finale” malinconico, ma senza vera tristezza: finisce una vicenda e un'altra ne potrà iniziare.
Quello che rimane, solida e inattaccabile, è la sempre maggiore focalizzazione dello stile di Marco Mengoni: eleganza, cura estrema del particolare sonoro, uso della voce sempre più scolpito, quasi tagliente nella sua nitidezza, mix di acustico e di elettronico.
Sai Che non è né più né meno che una canzone d'amore, come da millenni se ne scrivono. Presenta, anzi, la più classica delle motivazioni amorose, quella di far tornare la persona amata ripercorrendo i momenti più belli della storia, riassaporandone ogni istante, facendola rivivere in modo da poterla riallacciare in futuro.
Questa “lettera in musica” si muove sul doppio binario della voce che canta su due ottave diverse: quella più bassa, intensa, evocativa, e quella più alta volatile, eterea, che si perde nel cielo dei paesaggi ricordati e rimpianti.
Marco qui realizza un vero uso “grafico” della voce: non c'è un punto della canzone in cui le due linee siano esattamente allo stesso volume.
All'inizio prevale la parte bassa dell'ottava, quella più dolente. Chiama il suo amore perduto e racconta come sia tornato nei luoghi in cui sono stati felici insieme: la parte più alta è come un'eco, un riverbero della felicità di allora. Poi torna alla realtà ed esprime chiaramente il suo dolore e la speranza che un giorno possano tornare insieme: la parte alta della voce viene avanti, è più solida, si materializza.
Marco disegna, dipinge, inquadra, usa lo sfuocato, zooma, taglia...insomma, crea continuamente portando chi ascolta esattamente al centro della vicenda, sperando e disperando insieme con lui.
La parte strumentale alterna a sua volta questi due momenti, di ricordo e di desiderio, di malinconia e di urgenza di toccarsi e respirarsi di nuovo, attraverso la chitarra acustica ed il pianoforte inizialmente, che poi virano sull'elettrico mentre le percussioni e le tastiere elettroniche danno al brano il necessario spessore emotivo.
Il ritmo è esattamente quello di chi cammina perso nei propri pensieri: non veloce, ma continuo e sempre fluido.
Cosa ci dà Marco Mengoni con Sai Che? Cosa aggiunge alla ricca esperienza di Parole in Circolo, che non avesse ancora espresso completamente?
È molto semplice: un'altra bellissima canzone.
venerdì 27 maggio 2016
Il Guerriero e la luna
di M LaMarghe Laurenti
Alla fine resta lei a brillare sulle antiche pietre, appena velata da nuvole di passaggio. Piena, che muove il sangue e allunga le maree.
Sembra tornata a riprendersi il Guerriero che aveva accompagnato sulla Terra giusto un mese prima, allora appena calante, con la promessa di aprirgli nuovi territori e illuminare altri orizzonti per il suo cammino. Non prima, però, che il Guerriero abbia salutato chi crede in lui, promettendo di non abbandonarlo mai e vegliare sul suo destino.
Non si può che iniziare da questa immagine finale della prima parte del MengoniLive2016, tanta è la
potenza evocativa che questo show ha raggiunto.Un susseguirsi di sold-out dalle Alpi all'Etna, recensioni stellari, pubblico di ogni età entusiasta, supporto tecnico e logistico di prima categoria sono le caratteristiche di uno spettacolo che centra ogni suo obbiettivo.
Quando Marco Mengoni, dopo la suggestiva Ti Ho Voluto Bene Veramente (che introduce subito il tema del viaggio) apre il dialogo salutando il pubblico e ringraziandolo per aver scelto di passare la serata con
lui, si attua subito quella straordinaria empatia che è una delle
caratteristiche speciali dell'artista.
La prima parte (dal vivo) della seconda
parte (del lavoro in studio) a conclusione di un album doppio, ma
separato da quasi un anno nelle sue uscite. Lo spettacolo
“definitivo”, ma già pieno di premesse (e promesse) per il
futuro. E ancora, la title track del primo disco appare però nel
secondo, mentre quella del secondo (per ora) non è in scaletta...
tutto si realizza con fluidità, in modo circolare e sincronico nel
mondo musicale di Mengoni, artista che come pochi altri ha trovato la
strada giusta per rendere il pubblico testimone di un continuo
processo creativo.
Sappiamo dalle interviste che il
debutto di questo Live è stato segnato da mille idee e ripensamenti
del suo protagonista, sia in campo musicale (e il bravissimo Gianluca
Ballarin viene abbondantemente ringraziato per la sua pazienza oltre
che per la sua professionalità) che scenografico: una produzione ai
massimi livelli sia per la tecnologia degli schermi danzanti e
cangianti, che per la complessa logistica delle macchine di scena.
Su una cosa Mengoni non transige (si fa
per dire, data la meticolosità dei suoi interventi in tutti gli
aspetti dello spettacolo): il contatto diretto e più “umano”
possibile con il pubblico. Questo è per lui un fattore fondamentale
non solo per la riuscita del concerto, ma proprio per il senso
interiore del suo stare sul palcoscenico.
Che siano megapalazzetti (come Assago,
Torino o Roma), strutture di grandezza intermedia o tascabile, come
quello di Perugia, Marco vuole e riesce a guardare le persone in
faccia e, anche solo per un istante, essere parte della loro storia.
Ecco perché anche in cima alla più ripida tribuna c'è un signore
che batte il tempo, o in fondo al parterre c'è un bambino che balla
scatenato. Il coinvolgimento del pubblico è totale: si canta, si
partecipa alle coreografie luminose grazie alla app dell'artista, si
agitano cartelli e bandiere. Non si assiste, si fa.
Quando poi per le ultime due date si
approda all'Arena di Verona, luogo mitico e mistico per la Musica -
senza altre etichette-, la voglia di Mengoni di darsi, di esserci
proprio per tutti è tale da provocare fuochi d'artificio di energia
emotiva, sorrisi e lacrime intensi come solo un grande Teatro può
ispirare.
Una menzione speciale in tutto questo
merita l'eccellente controllo del suono da parte di Alberto
Butturini: non c'è stata data in cui non si sentisse meno che bene e
in cui ogni sfumatura tonale non venisse esaltata. Se gli assoli tesi
di Alessandro De Crescenzo (chitarra rock) arrivavano diretti e
“spianati” con la giusta grinta ma senza sbavature, e gli arpeggi
delicati o le invenzioni jazzate di Peter Cornacchia (chitarre
acustiche e quant'altro) avevano rotondità ed eleganza, era per
merito suo.
Se i due compari alla ritmica (Giovanni
Pallotti al basso e Davide Sollazzi alla batteria, sperimentale l'uno
e solido l'altro) potevano interagire nel modo migliore, e se la
brillantezza dei fiati - Francesco Minutello, tromba; Federico
Pierantoni, trombone; Mattia dalla Pozza, sax - inizialmente più
discreti e disciplinati e poi via via nel tour sempre più
protagonisti, se la geniale architettura delle tastiere di Ballarin e
le tessiture eleganti delle vocalist Barbara Comi e Yvonne Park
potevano arrivare al pubblico con calore e nitidezza, lo dobbiamo
alla magia del suo mixer.
Tutto importante, tutto “essenziale”
per dare a Marco Mengoni la possibilità di fare del “suo”
concerto un mondo a parte, un paio d'ore in cui “gli sbagli del
mondo” restano lontani, non ignorati, ma immobilizzati dalla
“gentilezza” che l'artista di Ronciglione invita ad usare sempre
di più nella vita di tutti i giorni.
Gentilezza, eleganza... quante parole
“antiche” evoca con il suo modo di essere artista! Proviamo ad
usarne una ancora più antica: “signorilità”. Che non significa
solo gusto e raffinatezza, ma un modo di essere insieme spontaneo e
sempre attento ai particolari.
E quante cose attuali troviamo invece
nel suo modo di fare musica! Quella capacità di prendere una certa
strada e poi voltare l'angolo improvvisamente, la voglia di
contaminare suoni e atmosfere, il desiderio di far germogliare la
curiosità per qualcosa di nuovo nell'ascoltatore. Sembra dire a
tutti, indistintamente: “Guarda, questo pezzo si può cantare così,
ma anche così e poi così”.
Mengoni fa crescere il suo pubblico
insieme con lui, lo rende partecipe delle sue scoperte e lo rende
complice mai passivo dei suoi entusiasmi.
Il dominio del suo mezzo vocale è assoluto e gli permette di dare ad ogni nota l'esatta sfumatura che lui desidera. Che siano acuti potenti o tenui sussuri, non c'è nulla che non esprima la sua volontà in quell'esatto momento. Inoltre, in linea con il tema del suo ultimo lavoro, si avverte la cura con cui le parole vengono cesellate. Il testo è una nuova forma di suono con cui Marco gioca e si misura, scolpendo in modo ancora più netto ogni emozione in esso racchiusa.
Suono, accordo, testo, arrangiamento:
nulla è considerato minore, tutto ha un ruolo di primo piano per
lui.
Il risultato è sotto gli occhi di
tutti: chi si accosta a Marco dal vivo per la prima volta non vede
l'ora di tornare ad un suo concerto, a chi lo amava da prima non
resta che ampliare la collezione di biglietti.
Il MengoniLive2016 appena terminato sta
già cambiando pelle per girare in Europa. Ogni volta sarà una
sorpresa, ogni concerto un nuovo momento di emozione per l'artista ed
il suo pubblico.
Ma abbiamo lasciato la luna in attesa
del Guerriero, che alla fine dell'ultimo concerto, durante il bis, si
concede di scivolare in un piccolo guizzo di improvvisazioni, una
capriola nel suo oceano primordiale, un sorriso di musica nella
notte, prima di riprendere la sua strada.