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domenica 11 novembre 2012

Appunti su questi primi nuovi giorni




Ce ne sarebbero di cose da dire... Ma non ci dilunghiamo e ci limitiamo a segnare in un post
quanto sta succedendo da un paio di giorni a questa parte. Come se prendessimo appunti
per non dimenticare questi “step” davvero piacevoli.


Marco Mengoni sul palco del Festival Giorgio Gaber mentre introduce "Destra-Sinistra"
foto della Fondazione Giorgio Gaber


Il fatto è che da quando si sente per radio Destra-Sinistra nella interpretazione funkeggiante di Marco Mengoni, tutti - o meglio - quasi tutti sono lì, in prima fila, a riconoscere il talento dell'artista laziale. A cominciare da Mario Luzzatto Fegiz, continuando con Andrea Laffranchi, fino a Luca Dondoni che ai microfoni di RTL si lascia sfuggire un “da pelle d'oca” che fa molto piacere.

Certo, nessuno sta scoprendo ora le doti del Nostro. Forse tutti - o meglio - quasi tutti stanno avendo la conferma di quello che fa del musicista laziale una vera stella del firmamento musicale di questi nostri giorni: il coraggio di essere la musica che più gli va. Ci vuole molto carattere (e quel pizzico di presunzione che trasforma un cantante in un Artista) a prendere un classico come la canzone di Gaber (probabilmente la più famosa) e farne un pezzo “nero”, senza mancare di rispetto all'autore, ma stravolgendola in una versione più attuale, mantenendo intatta tutta l'ironia del testo, della sua interpretazione, eppur declinandola in modo personale.

Ce ne vuole di carattere, e tanto. Perché Gaber non è certo un artista “normale”. Libero pensatore, libero nelle sue interpretazioni rock (suo è stato il primo pezzo rock italiano) come nelle sue canzoni all'italiana; libero di fare una veloce incursione nella canzone napoletana quando il Paese vestiva l'eskimo e leggeva Kundera, libero di rifiutare l'accostamento con la chanson francese, libero di credere in uno strambo giovane catanese (che rispondeva al nome di Franco Battiato) che vestiva fuseaux quando si cantava barba lunga-sgabello-chitarra; libero di dare un calcio alla fama e al successo garantiti dalla televisione per immergersi in un mondo che sentiva più suo, quello del teatro.

Il risultato? Gaber è diventato l'artista dei radical chic, lui che ha portato sulle scene il Signor G e che sottolineava come Da un lato esistono persone che accettano passivamente tutto quanto viene loro propinato dal sistema. Dall'altro esistono quelli che credono di porsi in modo antagonistico al sistema, ma il loro antagonismo è fasullo e nel giro di breve tempo viene recuperato. Vedi la moda dei jeans che ormai alimentano vere e proprie industrie. Entrambi i tipi non sfuggono alla massificazione.

Non è che qui si vuole fare un paragone tra i due: con tutta la stima per il giovane di Ronciglione, il signor Giorgio Gaberscik ha dalla sua oltre 40 anni di palcoscenici, oltre 40 anni di lavori con cui ha “giocato” a far la Cultura di questo Paese, spingendosi anno dopo anno sempre più in là di quanto fosse al passo con i tempi, tanto che soltanto oggi – forse – stiamo iniziando a comprendere davvero la forza dei suoi lavori, che si tratti di una canzone o di uno spettacolo intero.

Semmai, quello che sembra suggerire tutta la vicenda è che forse ancora non siamo guariti dalla paura del nuovo, di quello che non è “classificabile” secondo una scala predefinita e applicabile con precisione matematica. Solo se qualcuno (meglio se stampa o tv) ne certifica la validità, allora, forse, siamo disposti ad ammettere che sì, si tratta di qualcosa di piacevolmente inaspettato. Nonostante questo qualcosa ci abbia indotto, fin dal primo ascolto, una illogica allegria capace di farci star bene.


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